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100 anni Don Milani in nome della scuola e contro la guerra

Tempo di lettura: 3 minuti

Ultimo aggiornamento 27 Maggio, 2023, 02:21:16 di Maurizio Barra

(di Paolo Petroni)
(ANSA) – ROMA, 26 MAG – “La scuola ha un problema solo: i
ragazzi che perde. La scuola dell’obbligo ne perde per strada
462mila l’anno”, si leggeva nel 1967 (un anno prima del fatidico
’68) in ‘Lettera a una professoressa’ firmata dai ragazzi della
Scuola di Barbiana di cui era promotore e anima Don Lorenzo
Milani, che proseguiva: “A questo punto gli unici incompetenti
di scuola siete voi che li perdete e non tornate a cercarli. Non
noi che li troviamo nei campi e le fabbriche”.
   
Erano 150 pagine ben documentate (con dati Istat) che
denunciavano una scuola classista, costringendo a discuterne e a
ripensarla, a partire dalla prima parte che si intitolava ‘La
scuola dell’obbligo non può bocciare’, problema non superato con
l’obbligo ora arrivato ai 16 anni. Oggi, che il merito viene
sbandierato sin nel nome del ministero competente, ci sembra
tutto questo torni di grande attualità e speriamo che il
centenario della nascita di Don Milani, che cade il 27 maggio,
serva a riportarlo all’attenzione generale.
   
La lezione di Milani non è poi solo qui, se di attualità
risulta anche, in questo periodo di guerra e di nuove minacce
atomiche, la difesa che fece degli obiettori di coscienza dal
servizio militare in ‘L’obbedienza non è più una virtù’ del
1965, in cui sottolineava che ognuno è responsabile di quel che
fa, anche se esegue ordini superiori, e poi metteva in guardia
dalle “armi attuali che mirano direttamente ai civili” e da “una
simile guerra” alla quale “mi pare coerente dire che il
cristiano non potrà partecipare nemmeno come cuciniere”, senza
contare che oramai “è in gioco la sopravvivenza della specie”,
per cui insegnava ai suoi ragazzi che “se un ufficiale desse
loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben
stretto e portarlo in una casa di cura”. Per questo fu rinviato
a giudizio per apologia di reato.
   
Le sue ‘Esperienze Pastorali’, pubblicate nel 1958, che
invitavano a una profonda trasformazione della Chiesa, di cui
aveva contestato anche l’appoggio alla Democrazia Cristiana,
furono ritirate dal commercio per iniziativa del Sant’Uffizio.
   
Sembrava fossero l’arte e la pittura il suo destino, di
famiglia agiata e colta, col padre docente universitario, ma
poi, attorno ai vent’anni, visse una trasformazione interiore
che lo portò in Seminario e a essere ordinato sacerdote nel
1947. Ben presto entrò in contrasto con la Chiesa di allora che
gli pareva lontana dagli insegnamenti di Cristo, per cui nel
1954 venne ‘esiliato’ nel paesino di Barbiana, nel Mugello, dove
mise in pratica e teorizzo il suo insegnamento rivoluzionario,
accogliendo i figli di contadini e pastori e dando spazio alle
diversità, insegnando il valore innanzitutto dell’umanità e
della parola, strumento di coscienza, emancipazione, ragione.
   
Don Milani morì a 44 anni il 26 giugno 1967 di un linfoma
maligno e, sul letto della sua agonia, correggeva coi ragazzi,
pregandoli di togliere il suo nome come autore, quella ‘Lettera
a una professoressa’ che di lì a poco sarebbe divenuta un punto
di riferimento tra studenti e intellettuali (a cominciare da un
entusiasta Pier Paolo Pasolini) e avrebbe dato fama
internazionale a lui e Barbiana che, appunto, ancora oggi siamo
a celebrare e scoprire come sia attuale. Nel 2017 due volumi dei
Meridiani Mondadori hanno raccolto tutte le sue opere, compreso
l’epistolario privato e tanti scritti sparsi.
   
“Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e
stranieri io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il
mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e
oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i
miei stranieri”: è una sua decisa affermazione il cui spirito
cristiano è evidente che possa dar fastidio ancora oggi a molti,
ed è stata scelta per aprire l’appello della XXII Marcia
Vicchio-Barbiana il 27 maggio, che si terrà sotto l’alto
patronato del Presidente della Repubblica ed è organizzata da un
Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario,
presieduto da Rosy Bindi e di cui fa parte anche il cardinale
Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei. (ANSA).
   

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