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DALLE 08:57 ALLE 14:42
DI MERCOLEDì 14 NOVEMBRE 2018
SOMMARIO
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Solo il 2% degli italiani blocca i cookies
Studio della piattaforma sulla pubblicità Teads dopo l’arrivo delle norme Ue Gdpr
Diabete, su web confusione e fake newsSocial prima fonte, ma su primi 100 post 60% con info errate
Facebook e la stampa italiana, un rapporto complicatoDataMediaHub: ‘Sulle fanpage oltre il 90% dei contenuti sono link, e l’interazione con i lettori pressoché inesistente’
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BRUXELLES – Solo il 2% degli italiani, e in media il 5% degli europei, rifiuta i cookies e la conseguente raccolta dei dati personali per ricevere pubblicità personalizzate quando si trova su un sito di informazione. E’ quanto emerge da un rapporto realizzato da Teads, The Global Media Platform, che fornisce a buona parte dei principali editori mondiali una piattaforma di gestione dei consensi sul trattamento dei dati personali dei loro utenti, resasi necessaria con le nuove regole sulla privacy Ue del Gdpr. Quando si tratta quindi di fornire il proprio consenso all’utilizzo dei cookie per ricevere pubblicità più personalizzate, solo una piccola percentuale di utenti rifiuta di dare i propri dati per una profilazione: si aggira attorno al 5% in tutta Europa con un tasso di poco più alto nel Regno Unito (7%) ed è, invece, più bassa, in Francia (4%), Olanda (3%), Spagna e Italia (2%).
Da questo ‘barometro’ emerge anche che arriva al 63% il traffico degli editori europei che passa attraverso una piattaforma di gestione del consenso sui dati personali (Cmp).
La Spagna guida il processo di adozione della Cmp con un tasso di attuazione dell’82,83%, l’Olanda si posiziona subito dopo (82,82%), mentre Francia e Gran Bretagna registrano rispettivamente il 71,08% e il 67,93% di presenza. L’Italia è più indietro, al 60,28%. Teads, ha quindi assicurato il suo fondatore Pierre Chappaz, è al lavoro per guidare “ancora più velocemente” gli editori europei che ancora non hanno provveduto all’attuazione della piattaforma per la gestione dei consensi sui dati personali nel processo di allineamento alle nuove norme Ue.
– È sui social media che gli italiani trovano oggi la maggior parte delle informazioni online in tema di diabete. In testa Facebook e Twitter, agli ultimi posti le piattaforme di news. YouTube invece genera la maggior parte del ‘coinvolgimento’. A caccia di suggerimenti sull’alimentazione (38%), di tutorial che spieghino come affrontare la malattia (18%), di informazioni su dispositivi medici (17%), di confronto su sintomi (12%), cause (9%), stili di vita (8%), sui social media è facile poter ‘inciampare’in informazioni che nella maggior parte dei casi risultano completamente false: tra le prime 100 affermazioni nei post più virali, il 60% contiene indicazioni errate dal punto di vista medico-scientifico, l’8% parzialmente vere e solo il 32% attendibili. E quel 60% può nascondere pericoli per la salute: in una scala da 0 a 5, 33 mostrano un grado di pericolosità da 2 a 3 e solo 6 sono innocue. Lo rileva la ricerca sulle fake news in rete sul diabete promossa da Sanofi nell’ambito del progetto #5azioni la prima Social Academy per aiutare le persone con diabete ad orientarsi online e sui social.La ricerca, presentata in occasione della giornata mondiale del diabete, è stata realizzata da Brand Reporter Lab con la partnership dell’Associazione Medici Diabetologi). La rilevazione è stata effettuata sui big data online dal primo gennaio al 31 settembre 2018 attraverso una piattaforma che ha registrato 133mila post con un totale di 11,4 milioni di interazioni.È emerso anche le fonti prevalgono quelle non accreditate, come canali tematici su salute e benessere (30%) spesso di proprietà non specificata e dubbia qualità editoriale, influencer (18%), utenti singoli (8%). “Dai risultati – evidenzia Diomira Cennamo, direttore scientifico di Brand Reporter Lab- emerge che i messaggi che viaggiano nel Web 2.0 non sono quasi mai innocui. Questa consapevolezza dovrebbe investire tutti gli operatori del settore medico e stimolarli all’ascolto, oltre all’attivazione di una presenza sui canali in cui ha luogo l’interazione”.
DataMediaHub ha analizzato il comportamento delle maggiori testate giornalistiche italiane su Facebook, e ne ha ricavato un report molto dettagliato, disegnando luci e ombre nel rapporto tra i newsbrand nostrani e il social. Sono state monitorate per un mese le fanpage di venti quotidiani italiani, dieci “pure player” e altre dieci che hanno invece una corrispondente versione cartacea. I publisher “tradizionali” sono: Repubblica, Corriere della Sera, La Stampa, Il Sole24Ore, Il Fatto Quotidiano, La Gazzetta dello Sport, Libero, Il Giornale, Il Manifesto, e Avvenire.
Queste le testate “all digital”: Fanpage, TGCom24, Today, HuffPost Italia, TPI [The Post Internazionale], Il Post. Blogo, Agi, Ansa, e Linkiesta. Dallo studio emerge che “le fanpage dei giornali sono di fatto una “discarica di link”, per generare traffico al sito, senza nessuna, o quasi, gestione della community, né tantomeno un dialogo con i lettori, con le persone”: oltre il 90% dei contenuti è un collegamento alla pagina del sito, eccezion fatta per Fanpage. Marginale l’incidenza di video e post di solo testo.Secondo DataMediaHub, manca “una gestione adeguata del social network più popoloso del pianeta da parte delle fonti d’informazione […]: una “colpa grave” ormai all’approssimarsi della fine del 2018”. “Invece di impegnarsi nella studio e la comprensione degli interessi dei lettori – sottolineano i ricercatori – si privilegia un approccio quantitativo nel tentativo di battere l’algoritmo di Facebook ed aumentare la reach, la portata complessiva della fanpage. […] A conferma, non vi è correlazione tra il numero di post ed il livello di engagement con, ad esempio, Il Manifesto che ottiene un tasso di engagement superiore as Ansa o Libero nonostante questi postino un volume di contenuti nettamente superiore”. Problematico anche il tasso di interazione con le persone, tendente complessivamente allo zero assoluto.Evidentemente l’attrazione di pubblico inizia ad essere molto prossima alla saturazione: i tassi di crescita del numero di fan si attesta tra il 2 e l’1 percento, seppur con un paio di eccezioni (Agi e Sole24Ore). Ma di cosa parlano i lettori nei commenti (poco o nulla moderati)?La teme cloud, la nuvola di parole dei termini più ricorrenti nei commenti delle persone, evidenzia la centralità del vicepremier Salvini nel dibattito attuale anche se il termine “soldi” è quello più citato. Anche la parola “coglioni” – conclude amaramente DataMediaHub – viene utilizzata spesso a testimonianza ulteriore di come non vi sia una buona moderazione dei commenti. [print-me title=”STAMPA”]