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DeSantis, Musk e Twitter Spaces: cronaca di un disastro annunciato

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Ultimo aggiornamento 26 Maggio, 2023, 00:29:00 di Maurizio Barra

“DeSaster”. È questo il nuovo soprannome di Ron DeSantis dopo il disastroso annuncio della sua corsa alla Casa Bianca. Il candidato repubblicano ha scommesso su Twitter e sul suo proprietario, Elon Musk, che è anche l’utente più seguito con più di 140 milioni di follower. Ma l’annuncio previsto su Twitter Spaces, una funzione del social che consente di organizzare e ascoltare conversazioni audio in diretta, è stato un calvario a causa dei continui problemi tecnici. Per il New York Times è stato “un flop”. Politico l’ha definito “il ritratto del caos”. Per Elon Musk, invece, si può parlare di una “grande attenzione” per quella che è diventata “la storia più letta sulla Terra”. Punti di vista.

L’importanza della diretta – DeSantis sarebbe stato il primo politico della storia a candidarsi alla presidenza su un social – ha fatto crollare i server del social, complicando un annuncio che per molti è stato “un disastro annunciato”. Non solo per i limiti tecnici di Twitter, un’azienda che ha dovuto far fronte, negli ultimi mesi, a numerosi tagli e licenziamenti. Per il Pew Research Center, infatti, soltanto un americano (adulto) su cinque utilizza la piattaforma. Di questi, la maggioranza ha simpatie per i Democratici. I numeri dicono che non era la vetrina giusta. Puntando unicamente sulla voce, inoltre, e su un modello che ha decretato l’ascesa (ma anche il rapido declino) di una app popolare come Clubhouse, DeSantis è venuto meno alla prima regola di un candidato: metterci la faccia.

Come aveva fatto Barack Obama, nel 2007, di fronte alla folla radunata all’Old State Capitol di Springfield. “Sono qui davanti a voi oggi – disse Obama in quell’occasione, alzando improvvisamente il tono della sua voce – per annunciare la mia candidatura alla presidenza degli Stati Uniti”. La stessa cosa ha fatto, nel 2016, Donald Trump, scendendo da una scala mobile dorata e prendendosi il palco allestito nell’iconica Trump Tower, sotto gli occhi di reporter, fotografi e tv. E con la sua famiglia in bella mostra, di lato. “Sarò il più grande Presidente che Dio abbia mai creato”, disse Trump ai suoi fan. Tre anni dopo Joe Biden, per il suo annuncio, non usò un comizio ma ha puntato comunque sulla sua immagine, producendo un video con il suo volto sempre in primo piano, alternato a emozionanti immagini di repertorio: dalla Statua della Libertà a Martin Luther King. “La nostra democrazia è a rischio – disse Biden riferendosi a Trump – e per questo mi candido a Presidente”.

In ognuna di queste occasioni le parole hanno avuto sicuramente un peso ma anche i gesti, le espressioni, i dettagli visivi, persino le pause hanno contribuito a formare l’opinione pubblica. Mario Nawfal, l’imprenditore che ha ospitato Musk e DeSantis nel Twitter Space che avrebbe dovuto fare la storia del social, sostiene che la conversazione, alla fine, ha raggiunto 5 milioni di ascoltatori. Ma quanti di questi erano americani e con diritto di voto? Alla diretta, infatti, si poteva accedere da tutto il mondo. Ron DeSantis, l’uomo che si lamenta della “censura” delle Big tech ai danni dei conservatori, ha affrontato la platea più grande chissà dove, costretto a silenzi tecnici imbarazzanti, con un megafono malfunzionante di cui non aveva il controllo. Insieme a un uomo che è riuscito a far atterrare i razzi in verticale ma che, mesi dopo averlo acquistato, non ha ancora capito come far funzionare il suo giocattolo preferito: Twitter.

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