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Ultimo aggiornamento 18 Aprile, 2021, 14:12:07 di Maurizio Barra

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Industria matrimoni al palo, crolla il wedding tourism -90%
Jfc, ripresa nella primavera 2022 ma per alcuni anche più in là
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17 aprile 2021
20:10
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Il grido di allarme lanciato qualche giorno fa dal wedding and fashion designer Enzo Miccio viene confermato da una ricerca di Jfc: oltre al turismo la pandemia ha messo in ginocchio la prolifica “industria” legata al settore matrimoni e ha totalmente massacrato il Wedding Tourism che prima della pandemia faceva registrare numeri da sballo (nel 2019 1 milione 783 mila presenze generate dall’organizzazione di 9.018 matrimoni di stranieri in Italia, per complessivi 486 milioni di euro di fatturato). Toscana, Costiera amalfitana ma anche Puglia, Lago di Como e ovviamente Venezia hanno stregato anche moltissimi vip stranier,i da George Clooney e Amal Alamuddin a Tom Cruise e Katie Holmes, da Justin Timberlake e Jessica Biel a Kanye West e Kim Kardashian. “Considerando che i mercati Usa e Gran Bretagna – afferma Massimo Feruzzi, amministratore unico di Jfc e direttore dell’Osservatorio Italiano Destination Wedding Tourism – rappresentavano in epoca pre-pandemia ben il 39,6% del valore del wedding tourism, è interessante focalizzare l’attenzione su come si stanno comportando proprio questi mercati.
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Dalla rilevazione emerge che i wedding specialists operanti in questi due mercati hanno perso, nel 2020, il 69,7% degli eventi e il 78,9% di fatturato. Tuttavia rimane elevato l’interesse per l’Italia come destination wedding, in quanto oggi il 59,2% dei wedding specialists di questi due mercati anglofoni dichiara di avere molta richiesta per l’Italia, purtroppo al momento impossibile da soddisfare”. La ripresa non è dietro l’orizzonte: per il 45,2% degli operatori non sarà prima della primavera 2022, ma c’è anche un 35,5% che prevede il ritorno in Italia in data successiva.
Feruzzi continua: “Questi dati, provenienti dai due principali mercati generatori di flussi di Wedding Tourism, fanno comprendere il perché del tracollo del settore in Italia: nel 2020 ha purtroppo segnato un -87,3% di presenze ed un ancor più significativo -92,7% di fatturato rispetto ai dati dell’anno precedente, assestandosi pertanto a 35,5 milioni di fatturato generati da 226 mila presenze (rispetto agli oltre 486 milioni di fatturato e 1 milione 783 mila presenze del 2019)”.
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Aspi:Tci scrive al Governo,non metta pressione su Atlantia
C’è interferenza politica, dare tempo per valutare offerta Acs
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18 aprile 2021
13:12
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Il fondo Tci, azionista di Atlantia, ha scritto al governo italiano chiedendo che non metta “alcuna pressione su Atlantia per chiudere una trattativa” su Aspi e che si permetta ad Atlantia di prendere “il tempo necessario” per considerare l’offerta del gruppo spagnolo Acs. Nella missiva, indirizzata al premier Mario Draghi e ai Ministri dell’Economia e delle Infrastrutture Franco e Giovannini, e per conoscenza alla Commissione Ue, si fa riferimento ad una missiva inviata dal Ministero delle infrastrutture ad Atlantia, con cui – dice Tci – “il governo italiano sta esercitando una interferenza politica”.
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Online affossa negozi, 70mila a rischio quest’anno
Confesercenti,metà in centri commerciali,inserirli in riaperture
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18 aprile 2021
13:19
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Le restrizioni per il Covid spingono le vendite online e affossano quelle di negozi e supermercati e questo, insieme alla crisi dei consumi innescata dalla pandemia, sta mettendo in grave difficoltà l’intero comparto del commercio al dettaglio. Lo evidenzia un’analisi di Confesercenti, secondo le cui stime sono circa 70mila le attività commerciali che, senza una decisa inversione di tendenza, potrebbero cessare definitivamente nel 2021.
A rischio soprattutto le 35mila attività nei centri e gallerie commerciali, dice Confesercenti, che chiede che “anche i centri commerciali” vengano “inseriti nel piano delle riaperture”. Le restrizioni per il Covid spingono le vendite online e affossano quelle di negozi e supermercati e questo, insieme alla crisi dei consumi innescata dalla pandemia, sta mettendo in grave difficoltà l’intero comparto del commercio al dettaglio. Lo evidenzia un’analisi di Confesercenti, secondo le cui stime sono circa 70mila le attività commerciali che, senza una decisa inversione di tendenza, potrebbero cessare definitivamente nel 2021.
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A rischio soprattutto le 35mila attività nei centri e gallerie commerciali, dice Confesercenti, che chiede che “anche i centri commerciali” vengano “inseriti nel piano delle riaperture”.
Nel primo bimestre del 2021, evidenzia l’analisi di Confesercenti, gli acquisti presso la grande distribuzione e le piccole superfici si sono ridotti, rispettivamente, del 3,8 e del 10,7%, mentre le vendite sul canale on-line sono aumentate del 37,2%. Significativamente, l’espansione del commercio elettronico ha segnato un’accelerazione a partire dallo scorso ottobre, quando le misure adottate per contrastare la seconda e poi la terza ondata del contagio hanno piegato vero il basso le vendite nei canali tradizionali, spiega lo studio, precisando che si tratta di un’evoluzione già osservata in occasione del primo lockdown di marzo-aprile 2020. Lo spostamento delle quote di mercato a vantaggio dell’online, unitamente alla crisi dei consumi innescata dalla pandemia, sta mettendo in grave difficoltà l’intero comparto del commercio al dettaglio. “Di fatto, le misure di restrizione, per le modalità con cui continuano a essere attuate, stanno determinando una strutturale e non governata redistribuzione delle quote di vendita verso il canale on-line”, commenta Confesercenti. “A rischio sono soprattutto le 35mila attività collocate dentro i centri e gallerie commerciali. L’obbligo di chiusura nel fine settimana, che rappresenta il 40% delle vendite di queste attività, è un cataclisma sul comparto. Un divieto – puntualizza Confesercenti – che ignora gli alti standard di sicurezza, dall’areazione al controllo degli ingressi, disposti da centri e gallerie e che genera una perdita di almeno 1,5 miliardi di euro per ogni weekend, in buona parte a vantaggio del canale di distribuzione online”.
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Covid: ristoratori a Città della Pieve, vogliamo riaprire
“I piatti per Draghi li potremmo servire nei nostri locali”
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CITTA’ DELLA PIEVE (PERUGIA)
18 aprile 2021
13:38
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“Vogliamo riaprire subito in sicurezza. I piatti che oggi abbiamo preparato per donare al presidente del Consiglio Draghi li vogliamo servire nei nostri ristoranti, non ce la facciamo più”: a dirlo è stato Simone Ciccotti, chef perugino e animatore del sit-in che si è svolto a Città della Pieve (Perugia), dove il premier ha una casa, per riaccendere i riflettori sui temi della crisi che ha colpito il settore della ristorazione e del food in generale a causa dell’emergenza Covid.
“Vogliamo date certe sulle riaperture.
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Poter fare ristorazione all’aperto non basta, soprattutto in questa stagione in cui per mangiare fuori fa ancora freddo”, ha aggiunto Ciccotti, sostenuto, tra gli altri dal maestro della cucina italiana, Gianfranco Vissani e dal produttore di vino Marco Caprai, presenti nel borgo umbro che da oltre dieci anni ospita il premier.
Ma Draghi, in questo fine settimana, è rimasto lontano da Città della Pieve, deludendo le aspettative degli organizzatori dell’iniziativa che avrebbero voluto consegnargli di persona alcuni prodotti enogastronomici dell’Umbria che in questi 15 mesi di pandemia non sono stati serviti nei ristoranti. Il piatto principale preparato in onore del presidente è stato un “uovo in uovo”, con sopra una grattata di tartufo bianco. “È un piatto – ha spiegato Ciccotti – che simboleggia la continuità. E rappresenta anche le nostre volontà, noi vogliamo andare avanti, e anche se siamo stanchi non ci arrendiamo, ma adesso fate i lavorare”.   POLITICA

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